Il ghetto di Venezia approda a éStoria
Il 19 maggio 2019 si è inaugurata a Gorizia la XII
edizione del festival èStoria, che quest’anno ruota attorno al tema “Schiavi”.
La seconda giornata di lavori si è aperta con un incontro
dal titolo “1516-2016: dal ghetto di Venezia all’acquisizione della libertà
religiosa. La società ebraica e i gentili”
che ha proposto una riflessione sulla nascita e sugli sviluppi del ghetto di Venezia,
in sintonia con gli appuntamenti creati in occasione del cinquecentenario dalla
sua costituzione.
Il confronto, organizzato dalla redazione dell’Unione delle
Comunità Ebraiche Italiane in collaborazione con l’Associazione degli Studenti di Scienze Diplomatiche Internazionali di Gorizia, ha visto protagonisti tre
storici di rilievo: Anna Foa, Donatella Calabi e Simon Levis Sullam che sono
stati coordinati dal direttore della redazione UCEI Guido Vitale.
I tre storici sono stati chiamati a indagare l’esperienza
del ghetto di Venezia nello specifico, le tracce che ha lasciato nella comunità
ebraica e nei rapporti tra essa e la città, ma anche l’esistenza o meno di un
paradigma perdurante nel tempo, una possibile chiave di lettura dell’attualità.
Ha aperto la discussione Anna Foa, storica dell’ebraismo,
autrice di testi quali “Portico d’Ottavia 13” e “Andar per ghetti e giudecche”
che ha focalizzato il suo intervento sul confronto tra il ghetto di Venezia e
quello di Roma, inserendo le due esperienze nel contesto più ampio di quella
che si può individuare e definire come l’età
dei ghetti. Non vi è dubbio che le due esperienze furono molto diverse fra
loro pur rappresentando il prodotto di una politica di separazione ed
esclusione cui la comunità ebraica venne fatta oggetto: il ghetto di Venezia
nacque dalla volontà dell’amministrazione comunale di trovare un modo per
governare e controllare la presenza ebraica in città; a Roma, invece, il ghetto
si costituì su pressione di papa Paolo IV Carafa, un papa inquisitore, simbolo
della controriforma, e fu il prodotto delle spinte conversionistiche di cui gli
ebrei furono oggetto. Il ghetto di Roma fu, continua Anna Foa, fortemente
ideologizzato, basti pensare che all’esterno dell’area sorgevano numerose
chiese e luoghi del cattolicesimo, quasi a ribadire, anche visivamente, che la
chiesa cattolica apriva benevolmente le braccia ad accogliere quegli ebrei che
decidevano di fuoriuscire dalla comunità. Diverso fu anche il rapporto, diremmo
quasi urbanistico, tra il ghetto e la città: a Venezia gli ebrei furono
costretti in un’area sconosciuta alla comunità, mentre a Roma venne perimetrata
una zona che tradizionalmente aveva ospitato nei secoli gli ebrei, abitata e
vissuta dalla comunità. Le relazioni tra ebrei e gentili nei secoli successivi alla segregazione nei ghetti subirono
l’influenza delle peculiarità dei due contesti: il ghetto di Roma visse gli
effetti di una stasi culturale generale, non vi fu circolazione fra comunità
ebraica e società maggioritaria. Lo spazio del ghetto rimase congelato, non
poté accogliere al suo interno elementi della città e non ebbe la possibilità
di aprirsi ad essa. Fu la chiesa a indicare la direzione cui dovevano condursi
i rapporti tra ebrei e società maggioritaria, enfatizzando quella separazione,
sancita sul piano urbano, anche nella sua dimensione culturale. A Venezia,
invece, avvenne il contrario: permase un’interazione proficua tra le due
comunità tant’è che, all’apertura dei cancelli ogni mattina, ebrei e non ebrei
si mescolavano tra loro intrecciando rapporti economici e culturali.
Se Venezia e Roma rappresentarono due volti di una medesima
vicenda, si può dire che la stessa traccia di ambivalenza fu il connotato
specifico dell’esperienza del ghetto nella sua generalità.
Anna Foa, nel corso del suo intervento, ha illustrato come,
a partire da una volontà segregativa tutt’altro che benevola, ci furono, in
ogni caso, delle ricadute positive di cui la stessa comunità ebraica poté
beneficiare: il ghetto permise il consolidamento e il rafforzamento di
strutture sociali e istituzionali attorno a cui la comunità si organizzò e
compattò, e si caratterizzò quale spazio di una certa libertà di azione nella
sfera culturale che rinfrancò la consapevolezza della propria identità ebraica.
Infine, specie nel caso veneziano, il ghetto fu culla di multiculturalismo,
ospitando fra le sue mura ebrei di diversa provenienza e tradizione: sefarditi,
ashkenaziti, marrani…
All’ampio intervento di Anna Foa
si unisce quello di Donatella Calabi, autrice del libro “Venezia e il ghetto”,
storica dell’architettura e curatrice della mostra sul cinquecentenario del ghetto
che si inaugurerà il prossimo 19 giugno a Palazzo Ducale.
Anche Donatella Calabi si
sofferma su un’analisi comparativa delle due realtà urbane, sottolineando
come
i due ghetti risentirono ampiamente dei ruoli diversi che le città ebbero nel
contesto europeo: si pensi che Venezia, all’epoca, era considerata “il centro
dell’economia mondo”, secondo una definizione dello storico Fernand Braudel
diffusasi a partire dagli anni ’50 del novecento. Proprio a seguito di questa
posizione di rilevanza che la città assunse nei secoli, l’amministrazione
comunale individuò nella minoranza ebraica un nucleo da preservare e trattenere
in città, perché portatore di una ricchezza culturale ed economica
irrinunciabile. “Gli ebrei ci sono utili”, affermarono le istituzioni, e questa
fu la necessità che prese forma a partire da due direttive parallele che
giungevano entrambe all’individuazione del ghetto quale soluzione urbanistica e
sociale efficace: il ghetto rispondeva sia alla volontà di amministrare e
fissare la presenza ebraica in città, sia permetteva di gestire, attraverso
dinamiche di controllo e governo, gli eventuali conflitti di cui
inevitabilmente le diversità erano portatrici. Questa strategia, sottolinea
Donatella Calabi nel suo intervento, venne applicata anche ad altre minoranze
presenti sul suolo veneziano, come i turchi e i tedeschi.
Il ghetto di Venezia, che per la
sua conformazione fisica si costituiva come un’isola circondata da canali,
veniva monitorato e controllato dalle guardie a bordo di barconi,
supervisionando la chiusura e l’apertura dei cancelli che avveniva puntualmente
ogni giorno ai rintocchi della Marangona, alle sei di mattina e poi a
mezzanotte. Questa bolla di sicurezza permise il mantenimento, all’interno del
ghetto, di abitudini e tradizioni e la salvaguardia dell’identità ebraica.
Se le due relatrici hanno posto l’accento
sugli effetti positivi in termini di identità e tradizioni innescati dalla
costituzione dei ghetti, Simon Levis Sullam invece concentra il suo intervento
sulle criticità di cui l’istituzione del ghetto fu portatrice, sottolineando
come esso scaturì da una chiara volontà istituzionale di marginalizzare ed
escludere dal tessuto sociale la comunità ebraica. Raccogliendo le suggestioni
delle due storiche, Levis Sullam propone alcune possibili piste di riflessione
che coinvolgono soprattutto l’attualità.
Il ghetto fu uno spazio di
esclusione sociale e a questo proposito lo storico cita il libro di David
Forgas “Margini d’Italia” che individua come aree periferiche della nazione
tutti quei luoghi che sono stati consapevolmente e secondo preciso disegno
politico e sociale posti lontano dagli sguardi e dalla narrazione pubblica: il
sud Italia, le baraccopoli, i campi nomadi, i manicomi. L’allontanamento e la
segregazione dell’altro da sé sono risultati funzionali alla definizione dell’identità
collettiva della nazione che si è data una forma e dei contorni a partire dall’esclusione
di alcuni gruppi sociali, dedicando loro luoghi e aree specifiche, secondo
precise strategie urbane. All’interno di questa visione si inserisce l’esperienza
del ghetto che diventa paradigma e supera le barriere temporali dell’esperienza
storica e geografica per approdare all’attualità. La vicenda del ghetto migra nel
tempo e, nella sua specificità ebraica, ritorna, mutando connotati, nell’Italia
delle leggi razziali del 1938, e si fa di nuovo luogo e spazio segregativo
durante il biennio 1943-45, quando è in atto la persecuzione delle vite e gli
ebrei italiani vengono ghettizzati,
per mano degli stessi italiani, nei campi di transito, in attesa di essere
condotti a morte certa verso l’Europa dell’est.
Proseguendo la riflessione sul
ruolo del ghetto quale territorio di emarginazione ed esclusione, lo storico
lascia in sospeso alcuni interrogativi, il cui approfondimento risulta
necessario per una lettura complessiva delle dinamiche sociali che attraversano
l’attualità: quali sono i ghetti, oggi? Quali i gruppi a rischio, bersaglio di
politiche di separazione?
La seconda traccia di riflessione
proposta da Simon Levis Sullam fa i conti con un altro testo: “Orientalismo” di
Edward Said. In questo libro l’autore indaga l’apparato di stereotipi e
costruzioni culturali attraverso cui l’occidente ha letto, nei secoli, il mondo
orientale, cristallizzandolo all’interno di categorie letterarie e culturali
preconfezionate ed enfatizzandone differenze e lontananze. Tale separazione fra
i due mondi si è tradotta in disuguaglianze, conflitti, discriminazioni e in
una precisa volontà di controllo che l’occidente ha cercato di esercitare sull’oriente.
Anche la rappresentazione del ghetto di Venezia ha subìto questo atteggiamento
stereotipico, diventando autorappresentazione da parte della stessa comunità
ebraica in chiave estetizzante. Il ghetto di Venezia, infatti, venne descritto
come luogo dai tratti e dal carattere orientale, così come gli ebrei che
vivevano al suo interno. Non vi è dubbio che l’orientalismo affonda nell’antisemitismo,
stringendo con esso un rapporto consolidato fatto di rappresentazioni culturali
e letterarie.
I tre interventi, armonizzati fra
loro, hanno offerto spunti di riflessione aperti e sentieri di approfondimento
ancora da percorrere, a partire dal ghetto studiato nella sua dimensione
storica, linguistica e letteraria fino ad approdare ai temi centrali della
contemporaneità.
Bibliografia
https://www.mulino.it/isbn/9788815252029
https://www.bollatiboringhieri.it/libri/donatella-calabi-venezia-e-il-ghetto-9788833927633/
https://www.feltrinellieditore.it/opera/opera/i-carnefici-italiani/
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788842087946
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858120859
https://www.lafeltrinelli.it/libri/edward-w-said/orientalismo-l-immagine-europea-oriente/9788807882067
Bibliografia
- Anna Foa, Portico d'Ottavia 13. Una casa del ghetto nel lungo inverno 1943, 2016, Laterza
- Anna Foa, Andar per ghetti e giudecche, 2014, Il Mulino
- Donatella Calabi, Venezia e il ghetto. Cinquecento anni del "recinto degli ebrei", 2016, Bollati Boringhieri
- Simon Levis Sullam, I carnefici italiani. Scene del genocidio degli ebrei, 1943-45, 2015, Feltrinelli
- Simon Levis Sullam, L'archivio antiebraico. Il linguaggio dell'antisemitismo moderno, 2008, Laterza
- David Forgacs, Margini d'italia. L'esclusione sociale dall'Unità a oggi, 2015, Laterza
- Edward W. Said, Orientalismo, 2001, Feltrinelli
https://www.mulino.it/isbn/9788815252029
https://www.bollatiboringhieri.it/libri/donatella-calabi-venezia-e-il-ghetto-9788833927633/
https://www.feltrinellieditore.it/opera/opera/i-carnefici-italiani/
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788842087946
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858120859
https://www.lafeltrinelli.it/libri/edward-w-said/orientalismo-l-immagine-europea-oriente/9788807882067
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