Tadeusz Pankiewicz e la Farmacia sotto l'Aquila

Quando si parla di resistenza si fa riferimento ad un insieme granitico e omogeneo che nel nostro immaginario comune corrisponde alla lotta armata organizzata, che collochiamo negli anni della Seconda guerra mondiale.
Dato sicuramente corretto, ma forse ampiamente riduttivo.
Se parlare di resistenza limita nel tempo e nelle modalità, parlare di resistenze permette di dilatare l'orizzonte storico e muove il nostro sguardo verso una molteplicità di azioni ed esperienze.
Se guardiamo alle resistenze, attraversiamo una pluralità di percorsi individuali, di gesti, anche quotidiani, di piccoli e grandi momenti di disobbedienza. Si può resistere in tanti modi: organizzandosi, quando è possibile farlo, o molto spesso, nella sfera delle nostre minuscole vite, compiendo gesti significativi, di coerenza, di lotta personale. Dei segni, che nella macro-storia tendono a perdersi, ma che recuperiamo nel momento in cui ci affacciamo davanti all'oceano di individualità che il contenitore storia raggruppa.

Siamo ad Auschwitz, quattro prigionieri politici sono in attesa di morire appesi alla forca. Sono davanti al piazzale degli appelli, gonfio di prigionieri costretti ad assistere all'esecuzione. La loro morte deve essere di esempio per tutti. Intimorire e punire.
Uno di loro, d'improvviso, scansa lo sgabello sotto ai piedi. Si impicca, muore per mano sua, non per mano nazista. Gli altri tre seguono a ruota. La loro morte sarà davvero di esempio per tutti.

Un piccolo enorme gesto di resistenza, in un momento in cui tutto era già perduto. Un atto che segna una vita intera, la definisce, ne comunica il senso, interrompe la storia, ne macchia la linearità. Un atto di ribellione e coraggio, un messaggio urlato in faccia al potere.

Di resistenze vorrei parlare, della pluralità di atti che configurano la disobbedienza, di uomini  e donne che non abbassano la testa, che continuano ad esercitare il dubbio anche quando è pericoloso farlo. Che guardano, capiscono e non si adeguano. Che sfidano il potere, l'ordine precostituito. Che si elevano dalla mediocrità.
A partire dalla vita di  Tadeusz Pankiewicz , dalla sua storia, nella Cracovia occupata dai nazisti.


Nel 1939, storia nota, i tedeschi invadono la Polonia. Lo stato viene smembrato: la parte occidentale, come l'Alta Slesia, viene inglobata direttamente nel Terzo Reich, mentre l'area orientale, che comprendeva le città di Cracovia e Varsavia, diventa Governatorato Generale.
Gli ebrei polacchi vengono da subito perseguitati e privati dei diritti e delle libertà fondamentali.
Seguendo le tappe di un percorso ideato e organizzato nel dettaglio, che parte dalla persecuzione degli ebrei e arriva a metterne in atto l'eliminazione fisica, nel marzo del 1941 viene costruito il ghetto di Cracovia.


I tedeschi scelgono il quartiere di Podgorze, circoscrivono un'area di 600 metri  per 400, la chiudono con mura e filo spinato. Quattro i varchi previsti che rimangono però serrati, ad impedire la circolazione da dentro e fuori e viceversa. I 3000 polacchi che in quel quartiere vi abitavano vengono allontanati e al loro posto si rinchiudono forzatamente circa 18000 ebrei. Un appartamento ogni quattro famiglie. Sradicati dalla tradizionale area di residenza, gli ebrei di Cracovia, che dal 1939 venivano apertamente discriminati e perseguitati, una volta spogliati dei loro beni, vengono rinchiusi nell'unica zona a loro concessa.

Nella nostra casa adesso abita ancora più gente. Per ogni finestra devono starci quattro persone, invece di tre, così ha detto mio padre. Perché? Tanto nessuno guarda più dalla finestra. Nemmeno io. È severamente vietato, pena la morte. Siccome confiniamo con il quartiere ariano, la mamma mi ha avvertito: i tedeschi fucilano chiunque apra la finestra o soltanto guardi fuori.Nella stanza scura in cui dormiamo ci sono due finestre. Il mio lettino è stato eliminato, ora dormo con i miei genitori.Nel loro letto fa più caldo, anche se negli ultimi tempi ho la sensazione che mi manchi il respiro, mi sembra di soffocare.L'aria ha un odore dolciastro, è pesante e stantia.Anche la macchina per cucire è scomparsa. Il suo posto sotto la finestra è ora occupato dai nuovi arrivati, che dormono sul pavimento. Sento la mancanza di quel rumore, aveva il potere di calmarmi. Adesso la nonna cuce a mano. Le sue dita nodose sono svelte e abili. Cuce vestiti per gli sfollati e rammenda le loro cose. In cambio riceviamo un poco di pane o di tè, oppure una manciata di farina. (1)

I ghetti diventano veri e propri luoghi di morte. Gli ebrei vengono prima di tutto affamati. Il cibo viene razionato, insufficiente al normale fabbisogno umano, il lavoro non si trova e laddove non arriva la violenza nazista, imperversano stenti e malattie.

La fame aumenta, esce fuori dalle abitazioni buie e affollate e si riversa nelle strade, si mostra agli occhi con la vista di corpi gonfi, deformati, che assomigliano a pezzi di legno, si mostra nelle gambe avvolte in cenci sporchi, piene di pus, coperte di piaghe e ferite causate dal gelo e dalla denutrizione. La fame parla con le bocche dei vecchi, dei giovani, dei bambini che chiedono l'elemosina nei cortili dei palazzi. (2)

Sulla piazza principale del ghetto di Cracovia, Plac Zgody, luogo dove gli ebrei vengono raccolti dai nazisti in attesa di salire sui convogli che li porteranno nei campi vicini, si affaccia la Farmacia sotto l'Aquila, Apteka pod Orlem, presente nel quartiere già dal 1909.
Tadeusz Pankiewicz, pochi anni prima della Seconda guerra mondiale, ne rileva la proprietà dal padre e nel 1941 la farmacia si ritrova inglobata all'interno delle mura del ghetto.
Quattro sono le farmacie che esercitano nell'area, ma la Farmacia sotto l'Aquila sarà la sola a resistere alle richieste nazisti.
I tedeschi insistono affinché Tadeusz trasferisca la sua attività fuori dal ghetto, nella “zona ariana” della città, ma il farmacista si oppone con tale caparbietà e tenacia che ottiene il permesso di rimanere all'interno delle mura. Ma non solo, strappa ai tedeschi l'autorizzazione a soggiornare all'interno del negozio, mentre per il suo staff si fa consegnare un visto, una sorta di lasciapassare che consente loro di entrare e uscire dal ghetto (azione negata a chiunque, anche ai polacchi non ebrei che avevano il divieto di entrare all'interno del perimetro del ghetto).
È l'unico non ebreo a risiedere nel ghetto.
E da subito sfrutta la sua posizione per aiutare ad alleviare le drammatiche condizioni in cui la popolazione ebraica è costretta a vivere.
Tadeusz osserva, capisce, non si fa distrarre dalla propaganda, non si fa intimorire dalla situazione.


Si affanna a procurarsi farmaci e medicine difficili da reperire nel ghetto e spesso le distribuisce gratuitamente. La farmacia diventa il punto di riferimento per la distribuzione di tranquillanti, indispensabili per calmare le grida dei bambini che richiamano pericolosamente l'attenzione delle guardie, di oppiacei in grado di lenire il dolore, di tinture per capelli, primo passo per cambiare identità.

Improvvisamente vengo svegliata. Mi prendono in braccio e mi portano in cucina. Ho la sensazione che vogliano farmi qualcosa, e cerco con lo sguardo la nonna. Ma lei non c'è.Sul tavolo c'è una scodella, in cui da una bottiglia verde qualcuno versa un liquido maleodorante. Poi mi afferrano. Devo immergere la testa nella scodella. Piagnucolo e sgambetto. Cerco di difendermi ma ogni resistenza è inutile. Ci sono troppe mani sconosciute attorno a me, mani che mi obbligano a fare cose che non voglio. Con gli occhi ben chiusi e protetti da un asciugamano sono costretta a immergere la testa in quel liquido ripugnante. Gli occhi mi bruciano. Poi mi versano acqua calda sui capelli e li asciugano. Gli occhi e la pelle mi bruciano ancora.Mi chiedo se sia il caso di piangere, ma ormai è troppo tardi.[...]Poco dopo la mamma, mettendomi uno specchio in mano, dice:”Guarda come sei bella, ora assomigli a Irene”.Poi riprende a piangere.Mi guardo allo specchio. Sono bionda.Ma i miei occhi continuano a non essere azzurri. (3)

A poco a poco la farmacia diventa la soglia tra due mondi separati ed estranei uno all'altro: al suo interno circolano notizie altrimenti inaccessibili, filtrano dall'esterno informazioni, arrivano giornali, notizie, comunicazioni altrimenti irreperibili. Diventa punto di riferimento per intellettuali, artisti e scienziati che di notte si raccolgono al suo interno e si scambiano notizie di ciò che accade nel paese. La farmacia diventa il punto di contatto tra il ghetto e l'esterno, una sorta di zona franca che collega due dimensioni che ormai non si toccano più.



Nella cantina dell'edificio, Tadeusz costruisce un caveau dove custodisce documenti, libri in yiddish, rotoli della Torah, arredi sacri. Vi conserva all'interno tutto ciò che riesce a strappare alle sistematiche razzie naziste dentro il ghetto. Gli ebrei gli affidano oggetti cari o preziosi e lui li nasconde, così come nasconde molti bambini che al momento opportuno cerca di far fuggire nella “zona ariana” della città.

Dal 1942 iniziano all'interno del ghetto periodiche deportazioni. La “soluzione finale” è in corso e sistematicamente centinaia di ebrei vengono prelevati dalle loro abitazioni, raccolti nella piazza del ghetto e tradotti verso i campi di concentramento e sterminio circostanti.
Davanti alla farmacia sfilano scheletri di uomini e donne, anziani, ammalati, alcuni vestiti, altri, sorpresi nel cuore della notte, in camicia da notte. Dalla sua farmacia vede le SS gridare alle donne e ai bambini che rallentano la fila, vede i tedeschi sparare indiscriminatamente sulla folla, vede partire i camion che portano ai campi della morte.

Nel marzo del 1943 i nazisti decidono di liquidare il ghetto. I circa 8000 ebrei considerati abili al lavoro vengono portati al campo di concentramento di Plaszow, ex campo di lavoro, poco lontano da Cracovia. Circa 2000 ebrei, invece, vengono massacrati lungo le strade del ghetto o condotti ad Auschwitz.

Tadeusz Pankiewicz ha fatto tutto ciò che poteva fare. Ha resistito, è rimasto a vivere nel ghetto, ha distribuito medicinali, ha curato malati e feriti, spesso ospitandoli all'interno della farmacia. Ha sfidato i nazisti a loro insaputa, ha rischiato la propria vita, non è rimasto indifferente, non ha pensato solo a salvarsi la pelle. Mentre dalla farmacia vede i nazisti uccidere e spingere gli ebrei nei camion, capisce ancora una cosa. Capisce che lui non è solo colui che ha avuto la possibilità di aiutare gli ebrei del ghetto. Lui ha visto, con i propri occhi, quello che è successo. Lui è un testimone, un testimone non ebreo di quello che è accaduto nel ghetto.

E allora scrive, scrive di quello che vede.

Nel 1947 esce il suo diario, The Cracow Ghetto Pharmacy, in polacco poi tradotto in numerose lingue. È la testimonianza preziosa delle vicende del ghetto di Cracovia, di quello che doveva passare sotto silenzio, che non doveva esser visto né raccontato.
“Non dimenticate, raccontate, scrivete!”, esorta Simon Doubnov, perché senza racconto non vi è memoria e Tadeusz Pankiewicz capisce anche questo, in tempi in cui a voler capire sembravano essere in pochi.

Dopo il 1945 il farmacista continua la sua attività, ospitando ancora una volta, uomini e donne in fuga dalla città.
Nel 1983 gli viene conferito il riconoscimento di ”Giusto fra le nazioni” e nello stesso anno viene inaugurato, alla presenza dello stesso Pankiewicz, il Museo della memoria, ospitato all'interno della farmacia, anch'essa trasformata in museo.
Oggi la farmacia è uno splendido piccolo museo dove, tra flaconi di medicinali, cassetti e bacheche, viene ricostruita la storia del ghetto e delle vite di coloro costretti al suo interno. E si racconta la storia di chi, lasciato libero di scegliere, decise di intraprendere la via più difficile e pericolosa, tale in ogni tempo. Di chi scelse di resistere, di non scostare lo sguardo, di non rimanere indifferente.


(1) Roma Ligocka, La bambina col cappotto rosso, Arnoldo Mondadori Editore, 2001, p.23
Roma Ligocka, cugina del regista Roman Polanski, nasce a Cracovia nel 1938. All'epoca del ghetto ha solo quattro anni.

(2) Marek Edelman, Il ghetto di Varsavia lotta, La giuntina, 2012, p.48. Marek Edelman è stato vice comandante dell'insurrezione del ghetto di Varsavia.

(3) Roma Ligocka, op.cit, pag.21




Commenti

  1. Grazie, ho visitato nei giorni scorsi questo luogo e ho trovato la descrizione che qui ne viene fatta estremamente vivida ed efficace. Grazie. (Elisa Pruno)

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  2. Grazie, ne sono felice!
    Il luogo e la storia che in esso si conserva sono davvero suggestivi.

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