Portico d'Ottavia

Nel 2013 Laterza  pubblicava Portico d'Ottavia 13, di Anna Foa, nel quale la storica ricostruiva attraverso documenti, fotografie e testimonianze dirette dei pochi sopravvissuti, la razzia nazista compiuta nel quartiere la mattina del 16 ottobre 1943. In quella casa rinascimentale dalle radici medievali dove la stessa Foa vi aveva vissuto per oltre dieci anni erano state deportate 35 persone, la maggior parte donne, bambini e anziani.

Quest'anno, sempre per Laterza, nella collana Celacanto, esce l'adattamento del libro per ragazzi. Si tratta di Portico d'Ottavia, il testo è stato alleggerito per un pubblico di più giovani e accompagnato dalle splendide illustrazioni di Matteo Berton.




“Io faccio la storica, mi piace avere attorno mura spesse, scale consumate, resti antichi, anche per questo ero così contenta di aver trovato un appartamento nella Casa. Ma c'era qualcosa nell'aria o forse era in me. Quel giorno le finestre sbattevano per il vento, le imposte si impigliavano di continuo nella tenda. Non potevo fare a meno di pensare: Cos'è successo qui il 16 ottobre del 1943, quando a Roma i nazisti deportarono più di mille ebrei?”

Il libro è una splendida lettura da fare assieme ai più giovani, riporta fedelmente gli avvenimenti di quel giorno ma senza appesantire. Documenta senza intimorire.

Questo perché, anzitutto, il testo è accompagnato dalle splendide illustrazioni di Matteo Berton che sceglie tinte forti, un tratto quasi pastoso e materico per raccontare la casa e i suoi abitanti. Il testo si mescola perfettamente alle illustrazioni tutta pagina, i colori predominanti del blu e dell'arancione conducono il lettore attraverso i chiaroscuri di scale e porticati dell'edificio, le linee essenziali guidano l'occhio attraverso corridoi e anfratti.
Berton ricostruisce efficacemente la drammatica intrusione della persecuzione nel quotidiano degli inquilini: gente qualunque, ebrei che dopo le leggi razziali del 1938 avevano, nella maggior parte dei casi, perso il lavoro a causa dell'interdizione dal commercio. 
Tra le pagine riaffiorano le voci delle donne che si riunivano nei ballatoi per chiacchierare e a volte cucire assieme; si sprigionano le grida dei bambini che riempivano il porticato. 
Splendida è l'immagine dei soldati nazisti fra le file di lenzuola a stendere: racconta, senza parole, l'intrusione della persecuzione nella vita di tutti i giorni, nell'intimità dei ritmi famigliari.




Oggetti del quotidiano (la carne appesa ad essicare) e giochi dei bambini compaiono e scompaiono fra corridoi e cunicoli della casa, le cui geometrie, tutte particolari, permisero ad alcuni di salvarsi dalla deportazione.

L'autrice è accompagnata  in questo viaggio nel passato dal fantasma di Costanza, bambina di dieci anni che la scorta fra i vari piani del palazzo, fino alle buie cantine, a ripercorrere nomi e vicende degli inquilini.

Il testo è fedele ai fatti, non nasconde nulla. Attraverso una narrazione semplice e avvincente riporta il dramma della persecuzione antisemita, fa riferimento ai principali avvenimenti storici dell'epoca senza cadere mai nel nozionismo.
Gli abitanti della casa sono chiamati per nome, anzi, per soprannome, quasi a sottolineare la realtà e la familiarità di quelle figure: non sagome astratte, ma persone reali e comuni. 
Quelli siamo noi, le nostre famiglie, i nostri amici e vicini di casa. Le storie personali, in fondo, compongono la grande storia e rappresentano un ottimo canale per arrivare ai più giovani.
Nel libro la morte è presente, si racconta che la maggior parte di loro non tornò dai campi di sterminio. L'orrore emerge dalle pagine, ma non travolge il lettore: i ragazzi non dispongono degli strumenti adatti a metabolizzare quell'orrore, ne verrebbero sopraffatti.
C'è invece cura per i dettagli e una prosa carica di avventura. Si parla di fughe, si racconta di come due donne sbarrarono la porta di entrata con una lastra di vetro. Vi è speranza, nonostante tutto.

 E vi è sopra ogni cosa una lezione sulla memoria, su come essa vada ancorata ai luoghi fisici, agli edifici, alle vie. Per poter sopravvivere il ricordo deve in qualche modo diventare materiale, non necessariamente commemorativo, ma agganciato al reale, al concreto. Il passato si ricompone, come un puzzle, lungo i luoghi delle nostre città. É un passato che non si calcifica nei libri di scuola, ma vive attorno a noi. 
E' lì, ogni volta che corriamo il rischio di dimenticarcene, a fissare il nostro presente.

https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858117231

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