Radici

Ho sempre avuto una decisa riluttanza ad occuparmi di Trieste. Con caparbietà me ne sono sempre tenuta lontana. Ci vivo ma non me ne sento parte. Sarà per questa incapacità tutta mia di sentire radici e confini, di provare appartenenza a luogo o bandiera. Sta di fatto che Trieste l'ho sempre guardata con sospetto e con una punta di odiosa supponenza. Sarà anche per questo insopportabile tira e molla che questa città ha sempre intrattenuto con me. Tanta voglia di allontanarmene e tanto sollievo al ritorno. É una città dalla quale è bello e liberatorio partire e rassicurante tornare. Ed ora che cerco di ricomporre i pezzi di una relazione mai nata, mi ci avvicino attraverso la sua storia, lente che mi facilita ogni piccolo ricongiungimento. Mi convinco che cercare di capire l'identità di Trieste aiuta ad avvicinarsi alla comprensione di tutto il Novecento. Mi convinco che carpirne l'intrinseca stranezza mi aiuterà a trovare il mio posto, la mia dimensione.


Perché in fondo nel suo essere inafferrabile mi ci riconosco abbastanza e mi infastidisce la sua propensione all'apertura e la sua ostinazione invece al provincialismo, così come disconosco la mia placida abitudinarietà a fronte di una propensione al cambiamento. Trieste culla le mie psicosi e al tempo stesso mi mostra anche altre strade possibili. A Trieste si può affondare e da Trieste ci si può emancipare. Non so bene quale delle due strade ho voglia di percorrere, al momento mi tengo in sospeso, in bilico, tra il fare e il non fare. Mi stordisce quella sensazione di sollievo quando dal treno si comincia a intravedere il lungomare, quella malinconia silenziosa che si cala sulle sue strade buie, quell'essere sempre uguale a se stessa, ai margini eppure protagonista, suo malgrado, quel suo essere a tratti fascinosa e a momenti volgare e sboccata. Mi piace in fondo questo suo essere inafferrabile, perché mi suggerisce che c'è sempre tempo di cambiare idea, di mutare la prospettiva, che le cose non sono mai come sembrano. Mi permette di esercitare il dubbio, di chiedermi puntualmente quando e se me ne andrò e la sua ambiguità è in grado di confermare qualunque scelta abbia intenzione di compiere.
Continuo a studiarla con ostilità perché le buone abitudini non vanno perse, continuo a non sentirmene parte e a parlare dei triestini come se parlassi di antipatici vicini di casa. Eppure continuo a cercarla nei miei attimi di pace, a farmi accogliere quando ho voglia di sentirmi a casa. E mi piace anche rifiutarla quando ho voglia di pensare ad altro, alle molteplici possibilità che offre il resto del mondo. Trieste alla fine mi dà la misura dei miei limiti e delle mie potenzialità, mi definisce per differenza, ma mi definisce. In questo quotidiano dondolio tra distanza e ravvicinamento.

https://www.ilsaggiatore.com/libro/trieste-3/

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