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BLOGGER UNITI PER LE LIBRERIE INDIPENDENTI

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 BLOGGER UNITI PER LE LIBRERIE INDIPENDENTI Blogger da tutta Italia si uniscono per sostenere le librerie indipendenti Il mondo editoriale e culturale italiano sta vivendo uno dei momenti più difficili della storia moderna. Il lockdown e la parziale riapertura stanno mettendo in ginocchio alcuni tra i più importanti presidi culturali: le librerie indipendenti , luoghi di incontro, scambio di idee, rifugio per ogni stato d’animo. Realtà che rischiano di subire un crollo da cui è difficile rialzarsi. Il legame tra lettori e lettrici e librerie indipendenti va molto al di là del mero rapporto commerciale; è una relazione di fiducia, fatta di consigli, pareri, scambi. Un rapporto di affiliazione che si costruisce nel tempo e dal tempo è rinsaldato. In questo scenario così drammatico, cosa è possibile fare per essere d’aiuto? Chi può dare un contributo concreto per far sì che le librerie possano continuare ad esistere? Questo si è domandata Erika Zini , giornalista e

Radici

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Ho sempre avuto una decisa riluttanza ad occuparmi di Trieste. Con caparbietà me ne sono sempre tenuta lontana. Ci vivo ma non me ne sento parte. Sarà per questa incapacità tutta mia di sentire radici e confini, di provare appartenenza a luogo o bandiera. Sta di fatto che Trieste l'ho sempre guardata con sospetto e con una punta di odiosa supponenza. Sarà anche per questo insopportabile tira e molla che questa città ha sempre intrattenuto con me. Tanta voglia di allontanarmene e tanto sollievo al ritorno. É una città dalla quale è bello e liberatorio partire e rassicurante tornare. Ed ora che cerco di ricomporre i pezzi di una relazione mai nata, mi ci avvicino attraverso la sua storia, lente che mi facilita ogni piccolo ricongiungimento. Mi convinco che cercare di capire l'identità di Trieste aiuta ad avvicinarsi alla comprensione di tutto il Novecento. Mi convinco che carpirne l'intrinseca stranezza mi aiuterà a trovare il mio posto, la mia dimensione. Perché in fond

Lui era mio padre

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Joann Sfar è un autore difficilmente catalogabile; lo apprezzo e lo attendo tra gli scaffali in libreria anche per questo. Talento poliedrico, nizzardo di nascita, classe 1971, conosciuto soprattutto come autore di fumetti ( "Il gatto del rabbino" e "Se Dio esiste" ) è anche scrittore e regista cinematografico.  Una creatività, la sua, difficile da imbrigliare, che per esprimersi ha bisogno di indagare le potenzialità di diversi codici comunicativi, da quello visuale al verbale. Ho appena terminato “Lui era mio padre” , uscito quest’anno in Italia grazie alle Edizioni Clichy e lo palleggio tra le mani, indecisa sul da farsi. L’ho letto d’un fiato e masticato in un boccone, l’ho aperto e non l’ho più richiuso e ora mi pare di doverlo cominciare daccapo e con calma indugiare su alcune pagine, tra le righe di alcuni passaggi. Mi trattengo e preferisco scrivere di getto alcuni pensieri a caldo, un po’ confusi perché il libro non ha una sua linearità. Ma mi

Frantumi

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Capita nella vita di affondare nella palude del dolore e di rimanerci impantanati per svariato tempo. Capita, altresì, di essere colpiti dal medesimo dolore come un pugno sferrato nei denti. Per descrivere questi momenti utilizziamo metafore che ci rimandano alla matericità della sofferenza; perché non si tratta solo di un’ombra nella mente, ma invade il soma: gli arti, la testa, gli organi, i tessuti. Il dolore fa male, debilita, pulsa e brucia.  E spesso ci spezza, come una lastra di ghiaccio. E andiamo, letteralmente a pezzi. Ci ritroviamo monchi, come dopo un’amputazione di netto. Come in un puzzle, se manca una tessera, salta la totalità dell’immagine. Come si fa a guarire da questo dolore? Da dove partire per ricomporre il nostro io spezzato? Quali strade percorrere per recuperare i pezzi che abbiamo perduto? Bisogna mettersi in viaggio, più o meno metaforicamente. “Frantumi” racconta di un possibile percorso di guarigione. Ci risucchia all’interno del viagg

Le nostre anime di notte

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“Lui consumò una cena leggera, soltanto un panino e un bicchiere di latte, non voleva sentirsi goffo e appesantito una volta a letto con lei, quindi fece una lunga doccia calda strofinandosi a fondo. Si tagliò le unghie delle mani e dei piedi e la sera uscì dalla porta sul retro e percorse il vialetto posteriore con un sacchetto di carta che conteneva pigiama e spazzolino da denti. Il vialetto era buio e i suoi piedi facevano un rumore fastidioso sulla ghiaia. Dalla casa sull’altro lato della strada proveniva una luce, vide una donna di profilo accanto al lavandino della cucina. Proseguì fino al cortile sul retro della casa di Addie Moore, ci entrò, superò il garage e il giardino e bussò alla porta posteriore. Attese un po’. Un’automobile percorse la via di fronte alla casa con i fari che brillavano. Sentiva i ragazzi delle superiori che salutavano suonando il clacson lungo Main Street. Poi sopra di lui si accese la luce della veranda e la porta si aprì” In questa nitida istan

Svegliare i leoni

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Gli autori israeliani difficilmente lasciano indifferenti: capaci di registri e timbri diversi tra loro, sono in grado di esprimere sempre una certa originalità e di offrire importanti spunti di riflessioni senza inciampare mai nella retorica fine a sé stessa. In questi mesi in libreria si trovano alcune nuove uscite che personalmente mi hanno entusiasmato: la prima, di cui parlo oggi brevemente - perché ho timore di guastare il piacere di chi vorrà lanciarsi nella lettura - è la nuova fatica di Ayelet Gundar-Goshen , classe 1982, laureata in psicologia clinica all’università di Tel Aviv e impegnata nella lotta per i diritti civili. Per chi mastica un po’ di letteratura israeliana, l’autrice fa parte della nuova generazione di autori (la vecchia, per intenderci, è quella di Oz, Grossman, Yehoshua), tra cui Assaf Gavron, Edgar Keret e Eshkol Nevo, che si è allontanata dalla tradizione dei padri e che con linguaggi innovativi ed una certa capacità di introspezione, è in grado di

La piccola battaglia portatile

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“Non so bene come chiamarmi, non so bene come vestirmi, non so bene cosa sono, che spazio occupo, da che parte sto, a cosa servo, quanti anni dimostro, da dove vengo, quando mi sono incontrato per la prima volta, non è facile scrivere così, comunque cominciamo” L'incipit de La piccola battaglia portatile  (Paolo Nori, Marcos y Marcos, 2015) è tutto un programma perché in fondo, è un programma. È una dichiarazione di difficoltà e d'intenti, è un'ammissione di colpa o semplicemente la constatazione di quello che si è e basta. È da questa confusione cosmica, dal non sapere, che nasce e si sviluppa la poetica di Nori. È da questo spaesamento, dagli interrogativi non proprio urlati ma timidamente sussurrati sulla paternità che prende forma il suo rapporto con la figlia. La piccola battaglia portatile è la cronaca di una relazione padre-figlia, ma è anche molto di più. Perché non basta prendere un taccuino e annotare frasi e aneddoti capitati negli anni. Bisogna e