L'inizio di tutte le cose

Il libro di Ilaria Bernardini aveva tutte le carte in regola per non piacermi. Intanto per un mio pregiudizio nei confronti dei giovani scrittori/scrittrici italiani. E questo è un problema mio, lo ammetto. In secondo luogo perché ho dovuto sfidare lo stomaco per convincermi a superare il primo dei nove racconti di cui si compone L'inizio di tutte le cose.
[Al corso pre-parto] “Avrebbe amato anche la mia pancia molle? Le tette sgonfie? Gli ho stretto la coscia e ho cominciato a sibilare ah ah. Ah ah! E mi contorcevo come se stessi proprio male. 'Sei la più brava a soffrire' 'Lo so amore 'Mi sta venendo duro' 'Lo so'”.

Ecco, a pagina quindici ho pensato di gettare la spugna. La scena spinta del corso pre-parto, scritta malissimo, mi ha fatto vacillare.  Poi però ho deciso di proseguire e, in fin dei conti, è stata una buona scelta.

Nell'immaginario comune, ancora oggi, la realizzazione femminile ruota attorno alla procreazione, quando addirittura non si esaurisce in essa. Una società in cui le donne sono da venerare o da bestemmiare, la madre è l'esempio più nobile della tradizionale vocazione femminile ai compiti di cura e protezione. La maternità è dunque portatrice di candore, di purezza, di integrità: Sei radiosa contemplano familiari e amici davanti a quello che dovrebbe essere un virgineo volto mariano.   Gravosa la responsabilità di contenersi all'interno di questi confini canonici. Inverosimile.
I nove racconti indugiano sulla maternità con uno sguardo anticonvenzionale e riferiscono  molteplici situazioni e declinazione del femminile: donne sole, felici, preoccupate, amate, non amate, sposate, paranoiche. E si soffermano, con una intrigante punta di surrealismo, sui pensieri più cupi, volgari, cattivi che le dolci puerpere, provate nel corpo e nello spirito, generano.
Strappa il lieto evento dall'universo delle cose celesti e lo riporta a quello delle cose umane.
Perché aspettare un bambino è anche questione di fluidi, di gonfiore, di mollezze, di carne e sangue. E' cosa terrena anche.
La Bernardini squarcia un tabù ancora solido e diffuso e ha il grande merito (questo vale il libro, soprattutto) di dare voce al non detto, all'indicibile. Ai pensieri vergognosi, a quelli che una madre non dovrebbe mai pensare, ma che prima o poi affiorano. E non c'è nulla di male in questo: rientrano nella normalità di buona parte delle donne.
I nove racconti snocciolano rovelli, angosce e perversioni che accompagnano i mesi di gestazione: dalla preoccupazione sulla salute del bambino, all'insostenibile nuova percezione di gusti e odori fino alla peculiarità dell'allattamento.


Piacevoli i racconti, scartato il primo almeno, ma la vera sorpresa arriva circa a metà: è con il brano
Elia, autobiografico, che il libro esprime tutto il suo potenziale. La narrazione è quella del parto dell'autrice: ansia, molta paranoia, la paura del dolore e un'intuizione, buona: “Soprattutto questo mi ricordo: di avere riso un sacco e di essermi liberata continuamente dal dolore, cosa che non succede con nessun altro tipo di dolore che provi nella vita.”
In questo racconto l'autrice si spoglia di ogni sovrastruttura, abbandona la preoccupazione di una prosa d'effetto. E' lei, lo si legge. Elia coinvolge e commuove.

La narrazione della Bernardini è cristallina, il timbro pulito e quasi geometrico, essenziale, la prosa non si avvita mai su se stessa, percorre nitidamente la strada segnata fin dall'inizio.
Non è un libro notevole; considerato l'argomento e la prospettiva peculiare adottata fin dall'inizio si poteva affondare un po' di più. Non rimane a lungo, ne scrivo ma senza particolare trasporto.
E' senza dubbio un libro pop, per gli appassionati del genere, con un equilibrio accettabile tra originalità e propensione commerciale.

Ilaria Bernardini, L'inizio di tutte le cose, Indiana editore, 2015
http://www.indianaeditore.com

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