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Visualizzazione dei post da febbraio, 2020

Il nipotino annoiato di Fred Vargas

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A me Fred Vargas piace un sacco. Ma piace in quel modo genuino e bambinesco, piace senza che me lo sappia spiegare razionalmente. A me Fred Vargas piace come piace qualcosa di sciocco e imbarazzante, mi piace come mi piace annusare i libri prima di sfogliarli, come mi piace giocherellare con le orecchie del mio cane, come mi piace mangiare il gelato a letto e guardare un episodio di Miss Marple, come mi piace leccare il cucchiaino di marmellata e poi rimetterlo nel vasetto. Mi piace di quel piacere tutto mio, quello che mi concedo senza pensare, che mi regala dieci minuti tutti all'infuori del mondo. Lei scrive come se scrivesse al nipotino annoiato, così, buttando giù un paio di ideuzze in un pomeriggio di caldo afoso. E in effetti i suoi romanzi nascono quasi così, durante i ventun giorni di ferie che si regala ogni anno. Poi, nelle vacanze di Pasqua e di Natale rivede la prima bozza e conclude il testo definitivo. Ho letto tutto quello che Einaudi ha fatto usc

La morte del padre, la morte del romanzo qualunque.

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“ Quando si sa troppo poco, è come se questo poco non esistesse, ma anche quando si sa troppo, è come se questo troppo non ci fosse. Scrivere significa portare alla luce l’esistente facendolo emergere dalle ombre di ciò che sappiamo. La scrittura è questo. Non quello che vi succede, non gli avvenimenti che vi si svolgono, ma lì, in se stessa. Lì, risiede il luogo e l’obiettivo dello scrivere. “ “ La morte del padre” (prima parte di un'opera monumentale che conta sei volumi) non è altro che un libro terribilmente noioso. La Noia è la protagonista principale di questo romanzo autobiografico. Che poi proprio romanzo non è, ma sorvoliamo; e non proviamo nemmeno a chiederci se esso sia letteratura o meno. Perchè lo è, e questo vi basti. Questo libro è talmente piatto, noioso e apparentemente insignificante che diventa, dopo le prime pagine morbosamente irresistibile. All'inizio ti chiedi: Karl Ove, dove mi vuoi condurre? Cosa mi vuoi dire? Nulla è la risposta più sensa

Arnaldur Indridason e il giallo come racconto sociale

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Ho scoperto i romanzi di Arnaldur Indridason alcuni anni fa, quando iniziai, trasportata anch'io dalla corrente del mercato editoriale, a frequentare il giallo nordico. Di questo mi disamorai quasi subito, convinta che, nel calderone del nuovo filone poliziesco, avessero inserito indiscriminatamente qualunque scrittore scandinavo, con il solo merito di essere nato al di sopra della Germania. Credetti che sarebbe passata presto la furia svedese ma, come spesso accade, mi sbagliai.  Il giallo nordico gode tutt'oggi di ottima salute, complici anche le ottime vendite della narrativa poliziesca in generale e io continuo a non capire tutta questa passione. Di quella mia debolezza commerciale mi rimasero però due autori: Henning Mankell e Arnaldur Indridason. Il secondo, scrittore prolifico, pubblicato in Italia da Guanda, è romanziere islandese, laureato in storia, vive a Reykjavik dove ha lavorato come giornalista indipendente e critico cinematografico. L'ultimo

Jon Kalman Stefansson e i gatti

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Oggi su Tutto Libri (inserto del sabato de La Stampa) Jon Kalman Stefansson racconta del mestiere di scrivere, della nascita di un romanzo e...di gatti. " Scrivo per il mio gatto, rispose una volta il poeta svedese Werner Aspenstrom quando gli chiesero per chi scrivesse. Per il mio gatto. E' uno scherzo, ovviamente, un travisamento; a meno che invece non sia proprio la risposta più onesta a una domanda a cui è impossibile rispondere. Per chi scriviamo? Scrivo per non soffocare, disse un poeta islandese. In altre parole, perchè non posso fare altro, non riesco a farne a meno. Perchè respiro, perchè scrivo: per uno scrittore deve essere la stessa identica cosa. Ed è per questo che risulta impossibile rispondere. O se non altro, dare una risposta seria. Per questo Aspenstrom disse che scriveva per il suo gatto. Che, a pensarci meglio, è la risposta perfetta. Perchè gli autori non sono forse tutti dei gatti? Si fanno - devono farsi - i fatti loro, sono fedeli solo a loro stessi

Ballata per la figlia del macellaio

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Peter Manseau è nientemeno che il figlio di un prete e di una monaca che abbandonano i voti e decidono di sposarsi nel 1960. La sua infanzia viene raccontata in Vows: The Story Of A Priest, A Nun, And Their Son.  Cresciuto in uno stravagante quanto liberale e devoto contesto religioso, Manseau, con Ballata per la figlia del macellaio vince nel 2008 il National Jewish Book Award. Ed è il primo non ebreo ad ottenere il prestigioso premio. Perché la Ballata è di sicuro un libro sulla lingua, sull’identità, sulla traduzione; è un libro d’avventura, se si vuole, una storia che galoppa lungo un itinerario vasto e diversissimo. Saga moderna, un romanzo di formazione, la storia di un amore immaginato e rincorso. Ma è soprattutto una storia yiddish, sulla lingua yiddish .  Peter Manseau, Ballata per la figlia del macellaio , Fazi Editore, 2009 L’epopea è quella di Itsik Malpesh, poeta yiddish , il più grande d’America a suo dire, nato a Kishinev nei primi anni del Novecento. Ge

Un arabo buono

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Un arabo buono esce in Israele nel 1983. A leggerlo oggi, riproposto (finalmente) da La Giuntina, pare non sia passata una settimana. Segno che l’argomento, una terra contesa da due popoli, continua ad essere attuale con la stessa forza di vent’anni fa. Se questo libro non invecchia è perché l’autore è in grado di proporre una prosa sempre presente a se stessa, gonfia di significato, ancorata all’oggi grazie ad un’impalpabile ma lucida preveggenza   che annuncia il domani. È un libro da maneggiare con cura, da custodire come una pietra preziosa. Altamente esplosivo, come tutto il materiale che esce dalla penna di Kaniuk.  Continua a leggere qui https://www.giuntina.it/Israeliana_2/Un_arabo_buono_549.html

Intervista a Yoram Kaniuk

1948 di Yoram Kaniuk è un colpo sordo allo stomaco, una voce sussurrata all'orecchio che non ti lascia per tutta la lettura. Un libro che si spoglia e che ti denuda di tutta la logica che fino a quel momento avevi elaborato e indossato. Continua a martellarti quando, terminata la lettura, lo sfogli e lo risfogli, più volte al giorno e decidi che un libro così ha bisogno di uno scaffale tutto suo. A breve la recensione, per il momento l'intervista all'autore. "E così ci spedirono con entusiasmo a fondare uno Stato per le loro famiglie sterminate, a fondare uno Stato per i loro morti, e non sapevano mica che lo Stato sarebbe venuto fuori come una specie di manicomio nel deserto, tutto cosparso della farina di ossa degli ebrei che non ci erano arrivati Israele in effetti è uno stato di morti. E' stato fondato per i morti. E' memoria del fatto che forse avrebbero potuto fare a meno di morire se l'avessimo fondato cinquant'anni prima". http://www.

1948

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Yoram Kaniuk nasce a Tel Aviv nel 1930. Il padre galiziano e la madre, nata ad Odessa, emigrarono in Palestina nei primi anni del Novecento. Kaniuk è dunque un ebreo nato in Palestina, un sabra , parola che si aggancia a tzabar, fico d’india. Un frutto che nasce da terreni aridi e ruvidi, spinoso all’esterno ma che nasconde un dolce succo all’interno. A 17 anni e mezzo, arruolatosi nel Palmach [1] , si ritrova a dover combattere una guerra, spiantata e feroce, per fondare uno stato. Kaniuk ha impiegato circa sessant’anni prima di scrivere questo libro. Dopo aver rischiato di perdere la vita a seguito di una malattia, decide che quelle memorie, ora, si devono e possono raccontare. Un libro “non sulla guerra, ma dalla guerra. Dalla pancia della guerra”, che racconta l’esperienza traumatica di una generazione mandata al macello, senza armi adatte, attrezzature, equipaggiamenti specifici. Una generazione   nella quale i politici di allora vedevano i nuovi eroi. “La verità è che n

La ragazza

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Esistono libri deperibili, quelli che una volta letti scivolano via dalle mani per non farsi vedere più. La ragazza di Angelika Klüssendorf non lo è, anzi. È un libro che ti prende letteralmente per i capelli e ti tormenta anche dopo la sua conclusione. Germania est, una periferia non ben definita di una città non nominata. Siamo genericamente negli anni '80. Pochi appigli geografici, il lettore non si deve orientare, deve perdersi. La ragazza ha circa 12 anni, un fratello piccolo di cui occuparsi, una madre alcolizzata, violenta, assente, che ama umiliare i propri figli. Padre non pervenuto. Si potrebbe definire un romanzo di formazione, il resoconto di un'adolescenza ai margini. Una lotta per la vita che non lascia scampo. La ragazza va a scuola, poi non ci va più, rubacchia ogni tanto, fino a quando finisce in un istituto. Qui l'incontro e lo scontro con gli altri. I primi amori, goffi e impacciati. È tenera la sua ricerca della felicità, non solo di normalità, ma