Arnaldur Indridason e il giallo come racconto sociale

Ho scoperto i romanzi di Arnaldur Indridason alcuni anni fa, quando iniziai, trasportata anch'io dalla corrente del mercato editoriale, a frequentare il giallo nordico. Di questo mi disamorai quasi subito, convinta che, nel calderone del nuovo filone poliziesco, avessero inserito indiscriminatamente qualunque scrittore scandinavo, con il solo merito di essere nato al di sopra della Germania.
Credetti che sarebbe passata presto la furia svedese ma, come spesso accade, mi sbagliai. 
Il giallo nordico gode tutt'oggi di ottima salute, complici anche le ottime vendite della narrativa poliziesca in generale e io continuo a non capire tutta questa passione.


Di quella mia debolezza commerciale mi rimasero però due autori: Henning Mankell e Arnaldur Indridason.
Il secondo, scrittore prolifico, pubblicato in Italia da Guanda, è romanziere islandese, laureato in storia, vive a Reykjavik dove ha lavorato come giornalista indipendente e critico cinematografico.
L'ultimo romanzo uscito quest'anno si intitola “Una traccia nel buio” e, come sempre, si è rivelato perfettamente all'altezza della aspettative.

Due storie, lontane nel tempo e apparentemente slegate fra loro, si intrecciano in un unico filo rosso che accompagna Konrad, ex poliziotto che collabora alle indagini, lungo sentieri che costeggiano la storia islandese, dalla seconda guerra mondiale fino all'oggi.


Un vecchio trovato morto nel suo letto. Il volto sereno, sembra essere scivolato naturalmente dal sonno pomeridiano a quello eterno. Un arresto cardiaco, forse, ad una prima occhiata.
Invece qualcuno gli ha premuto un cuscino sulla faccia fino a farlo soffocare. 
Un'esistenza tranquilla la sua, una vita silenziosa così come la sua morte, nessun indizio rilevante trovato in casa. Se non fosse per quei ritagli di giornale che Konrad trova conservati in un libro: vecchi articoli di un caso irrisolto risalente al 1944 quando in una nicchia dietro al Teatro Nazionale venne ritrovata morta una giovane ragazza.

Siamo a Reykjavik, la guerra è agli sgoccioli e il paese ospita le truppe angloamericane pronte ad entrare nel continente. Il Teatro Nazionale, ancora in costruzione, è deposito degli approvvigionamenti dell'esercito e, di tanto in tanto rifugio di qualche coppietta infreddolita.  
Sono gli anni della cosiddetta “Situazione”: i soldati americani spopolano in città e conquistano le giovani islandesi. A molte promettono un futuro nel nuovo mondo laddove invece ad aspettarli ci sono mogli e figli. Molte ragazze islandesi si fanno abbindolare credendo alle fandonie dei soldati; alcune rimangono incinte.  Le famiglie il più delle volte mettono tutto a tacere. Per molte di loro l'unica soluzione è l'aborto clandestino o l'adozione. L'importante è salvare le apparenze, non far trapelare nulla, mondare il buon nome dal disonore, in un modo o nell'altro.

In questo contesto viene trovata Rosamunda, giovane sarta promettente, stuprata e poi uccisa brutalmente.

Perché il vecchio conserva quegli articoli? In che modo i due casi sono collegati? 
Konrad si lancia capofitto nell'indagine, e si immerge, suo malgrado, in un'Islanda crudele e opportunista, fatta di apparenza e stratificazione sociale. Un paese in cui la transizione alla modernità si mescola ad  un immaginario di credenze popolari duro a morire, tra elfi e popolo nascosto.

La scrittura di Indridason è pulita e diretta. Niente fronzoli, nessun eccesso di sentimentalismo. Tutto è misurato e pacato. Lineare. Eppure arriva dritto come una lama. Perchè mentre ti conduce lungo un' indagine avvincente e appassionata, sotto silenzio, quasi subliminale, ti vuole dire molto altro. L'indagine diventa solo il mezzo attraverso cui far emergere le falle di una società che si ammala. E' il liquido di contrasto che serve a evidenziare pecche e imperfezioni.

Ecco perché Indridason mi è rimasto, assieme a Mankell. Perché il giallo non è necessariamente la lettura estiva di decompressione, il romanzo di svago che riposa la mente. Le potenzialità del genere poliziesco possono essere e sono molto altro.
E mi porta alla mente Per Wahlöö e Maj Sjöwall la coppia svedese da cui si può far partire il poliziesco procedurale.
Secondo Wahlöö il poliziesco è “uno scalpello per sventrare il sedicente “welfare state” di tipo borghese, ideologico, pauperistico e moralmente discutibile”. 
Il romanzo giallo diventa così una lente sulla società che attraverso una trama avvincente e ipnotica, alla fine porta con sé un messaggio ben preciso. Diventa denuncia di una collettività abbruttita e diseguale, feroce, fucina di ingiustizie e soprusi.

Indridason cattura, i suoi romanzi, a leggerli, sembrano racconti lunghi tanto scorrono piacevolmente fra le dita. 
Incolla come spesso i polizieschi sanno fare, appiccica il lettore alla pagina e mentre una trama avvincente monopolizza l'attenzione, l'autore ti infila nelle tasche un messaggio importante, una riflessione, in fondo, su chi siamo e su come vogliamo vivere.

https://www.guanda.it/libri/arnaldur-indridason-una-traccia-nel-buio-9788823511569/

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